Il Bancarella nelle scuole 2014 - le "penne" vincenti del Righi
Vincitrice assoluta per la migliore recensione CALDACI DOMIZIANA - classe 3A
Recensione a
RONALD H. BALSON, Volevo solo averti accanto, Milano, Garzanti, 2014
Domiziana Caldaci III Ab
Migliore recensione nella sestina GENNARI CRISTINA classe 3A
MIGLIORE RECENSIONE DEL VOLUME
Albert Espinosa, Braccialetti rossi, Milano, Salani Editore, 2014
«Ciò che segna, insegna». Questo Albert Espinosa lo sa bene. Così dopo una vita travagliata, un cancro affrontato, combattuto, vinto, una gamba (la sinistra) e un polmone in meno, molte esperienze raccolte e dopo aver imparato tanto, forse troppo, ha deciso di regalare regalandosi. Proprio così: Albert, con profonda e disinteressata generosità, ha deciso di non tenere per sé gli insegnamenti della vita ma di condividerli con tutti. Raccontandosi senza filtri ha fatto un dono, prezioso quanto inaspettato: una lezione grande sotto forma di manuale che insegna come vivere. Il suo libro Braccialetti rossi (Salani Editore, € 12,90, 172 pagine) è un inno alla vita, un diario che non racconta semplicemente i suoi dieci anni trascorsi in ospedale, ma parla di scoperte (23 per precisione), di gialli, di amore per la vita. Con un linguaggio semplice, diretto, simpatico parla di sé e degli altri. Dopo aver interiorizzato la sua difficile esperienza e i duri insegnamenti che ha ben presto dovuto imparare ne parla come si usa di solito fare per una passeggiata al mare, una partita a calcetto o una vacanza tra amici. Perché il suo scopo non è certamente quello di essere commiserato e compianto. Albert vuole dare consigli, vuole che la vita sia amata e compresa, vuole che gli altri scoprano ciò che lui ha imparato. I gialli, per esempio. Ognuno ne ha ventitrè. Sono persone tra l’amicizia e l’amore che lasciano il segno nella nostra vita, rendendoci migliori. Con una precisione da manuale per computer o altri strumenti elettronici, l’autore descrive passo a passo come individuare i gialli, come comportarci con loro e come viverli. Per Albert il mondo deve essere giallo. Gli altri colori possono essere belli, ma il giallo ha qualcosa in più. E’ un modo di vedere la vita, di vivere. E’ un mondo fatto di scoperte che l’autore, da ingegnere qual è, ci regala tramite una lista. Insegnamenti in fila che dovrebbero aiutarci a organizzare la vita. Le perdite sono positive. La parola “dolore” non esiste. Fai cinque buone domande al giorno. Il resto è da scoprire leggendo il libro…
Cristina Gennari, III Ab
Vincitrice per l'istituto MONTANARI SILVIA classe 4E
Recensione a
Michela Marzano, L’amore è tutto: è tutto ciò che so dell’amore, Torino, utet, 2013
Il libro L’amore è tutto di Michela Marzano è racchiuso tra le due citazioni iniziali: da una parte la sensibilità femminile delle parole di Emily Dickinson, riprese anche nel titolo; dall’altra l’analisi scientifica, ma non per questo meno emozionale, dello psichiatra Ronal Laing.
Tra questi due poli si sviluppa la riflessione dell’autrice, che alterna momenti in cui i sentimenti prevalgono e travolgono tutto, anche il lessico, che diventa ossessivo e ripetitivo nella ricerca della definizione precisa, ad altri in cui l’autrice mostra il suo essere filosofa, attraverso riflessioni più articolate.
Michela Marzano sembra, quindi, identificarsi nei versi della Dickinson, nella sua visione totalizzante dell’amore, di cui vuole scrivere, nonostante gli amici glielo abbiano sconsigliato, perché dell’amore si è già parlato troppo e dunque il rischio che si corre è di dire cose già dette.
È evidente però che l’autrice ha bisogno di parlare dell’amore, un sentimento unico, che “dura per sempre”, che è inspiegabile, perché indipendente dalle qualità dell’altro, che tormenta e salva, che non può essere confuso con la passione, che non pone condizioni, che “è la chiave” e insieme “è la risposta” e che consente di riattaccare quei frammenti interiori che ognuno si porta dentro sin da bambino.
Ed ecco che dalla Dickinson siamo arrivati a Laing: dalla visione totalizzante della prima siamo giunti alla visione dell’amore come sentimento senza il quale la nostra personalità va in pezzi e attraverso il quale vengono aggiustati questi stessi pezzi.
Nella Marzano è, quindi, importante distinguere la donna e la filosofa: la prima è la protagonista dei 41 capitoli di racconto emozionale, la seconda affiora nei 7 intermezzi di approfondimento e di confronto filosofico. Questi ultimi, che iniziano sempre con una citazione, sono i momenti migliori del libro, poiché qui, misurandosi con un filosofo o uno scrittore, l’autrice ci offre una sua personale e motivata visione dell’amore, non solo un sentimento, ma anche un oggetto di studio.
Se il lettore cercasse una storia nel libro resterebbe deluso, perché qui non c’è una vicenda nel senso tradizionale del termine, ma piuttosto un sottile filo che ordina i riferimenti autobiografici in cui domina Jacques, ma dove importanti risultano essere anche il padre della Marzano, la madre, i suoi ex.
La ripetitività e lo smarrimento che il lettore percepisce nei capitoli iniziali si risolvono nella parte finale del “romanzo”, in cui la Marzano arriva alla scoperta che l’amore è uno solo, lo stesso che lega l’amante all’amata, la madre al figlio, la figlia al padre. La ripetitività è una scelta, come nel caso della domanda che l’autrice si pone ossessivamente dal capitolo venticinque («ma poi, se ho un figlio, mi devo alzare presto per accompagnarlo a scuola, vero?»): inizialmente la scelta di non diventare madre sembra giustificata da un’enorme pigrizia, ma in realtà c’è una specie di nostalgia per quell’amore che Michela non potrà mai provare e l’unica cosa che le resta da fare è trovare una magra consolazione nel poter dormire fino a tardi la mattina.
La piccola Michela che sognava il principe azzurro («il dramma, con le fiabe, è che non ci sia scritto da nessuna parte come sia questo benedetto principe»), diventata donna, sposa Jacques, ma anche se ora deve confrontarsi con i figli di lui, con la sua ex-moglie, con il fatto che lui di figli non ne vuole altri e che dunque le nega la maternità, tutto ciò non conta, perché, come scrive nell’ultima riga del libro, «quando di amore ce n’è tanto, il resto non importa».
Silvia Montanari IV E
Recensione a
Veit Heinichen, Il suo peggior nemico, Roma, Edizioni E/O, 2013
Che cosa collega la misteriosa e inaspettata morte di un importante magnate dell’imprenditoria norditaliana alla più efferata e meglio organizzata rapina di lingotti dell’ultimo decennio? Quali segreti si celano dietro le ricche e facoltose famiglie della benestante borghesia sudtirolese? Ma soprattutto, come farà questa volta il vicequestore Proteo Laurenti, assistito dalle sue due scaltre collaboratrici Xenia Zannier e Ziva Ravno, a risolvere il difficile caso senza tardare alla festa di compleanno della moglie?
Il suo peggior nemico è l’ultimo romanzo di Veit Heinichen, in concorso per il Premio Bancarella. Il prolifico scrittore torna sul panorama letterario europeo con una nuova avventura del burbero ed efficiente paladino della giustizia, che si trova ad affrontare un caso in cui politica, traffici internazionali e interessi economici privati si mescolano indistintamente.
Abbracciata da un lato dalle imponenti montagne innevate, dall’altro dal frizzante mare adriatico, si snoda la vicenda che vede gli inquirenti italiani prodigarsi con impegno nell’inseguimento dei banditi, una volta avvenuto con successo l’assalto al ricco portavalori, e nella ricerca dell’assassino di Franz Spechtenhauser, districandosi tra i delicati equilibri di una famiglia interessata più ai profitti che agli affetti.
L’azione non manca, il lettore è sempre col fiato sospeso grazie alla rocambolesca fuga dei criminali attraverso le case di piacere del centro Europa e i più suggestivi e bucolici paesaggi alpini, ma la trama talvolta risulta pesante e un po’ difficile da seguire a causa della pienezza di riferimenti ai dati tecnici e burocratici delle indagini ufficiali.
Con un rapido e capace colpo di penna, Heinichen riesce a delineare lo spessore psicologico di personaggi dalle più diverse personalità: dal “Direttore” e “Einstein”, nomi in codice dei due metodici organizzatori della rapina, alle gemelle Spechtenhauser, le fredde ed esperte imprenditrici figlie della vittima, all’impulsiva e complicata commissaria Xenia Zannier, senza tralasciare il viscido avvocato-parassita di famiglia e alcuni pigri esecutori della legge.
Il romanzo riesce a cogliere un realistico affresco dell’Italia di oggi, coi giovani in lotta contro la crisi, la modernizzazione della criminalità organizzata sempre più legata ai piani alti della politica corrotta, e il clima di tensione di quest’area di confine, generato dalla contesa di diversi interessi culturali ed economici.
Anche il finale riserva una sorpresa: sino alla fine l’indagine non può dirsi veramente conclusa, né la giustizia può trarre l’agognato sospiro di sollievo…
Livia Bottignole IV C
Categoria: Archivio e Pubblicazioni | Data di pubblicazione: 15/07/2014 |
Sottocategoria: Eventi | Data ultima modifica: 15/07/2014 |
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