#esamidistato2020
Lavarsi le mani… e sporcarsi le mani
Amarcord (Mi ricordo)
Lo so, lo so, lo so
che un uomo, a 50 anni, ha sempre le mani pulite
e io me le lavo due o tre volte al giorno ma è quando mi vedo le mani sporche che io mi ricordo di quando
ero ragazzo.
Tonino Guerra (S. Arcangelo di Romagna, 1920-2012)
Cari studenti che state preparandovi a svolgere l'Esame di Stato,
vi chiederete che senso abbia scrivervi citando una poesia che tratta di “mani sporche”. Soprattutto in un tempo in cui “lavarsi spesso e bene le mani” è un imperativo! Eppure questa poesia di Tonino Guerra - nel centenario della nascita - si ricollega bene a quanto siete chiamati a vivere. Provo a spiegarmi.In questi mesi abbiamo vissuto qualcosa che nemmeno immaginavamo: l’attacco di un virus sconosciuto e aggressivo. Certo, avevamo letto della peste ne I Promessi Sposi del Manzoni. Avevamo anche appreso, sui libri di storia, dell'epidemia di Spagnola che colpì l'Europa dal 1918 al 1920, con milioni di morti. Fatti lontani, oscuri, a noi totalmente estranei. Non ci immaginavamo di dovere vivere l’esperienza della pandemia. Abbiamo dovuto chiuderci in casa. Limitare le uscite. Mettere in sicurezza i nostri anziani, i nostri cari e noi stessi. Molti “non ce l'hanno fatta”, soprattutto in alcune zone della regione.Il silenzio del mondo è stato tale da essere rilevato persino dai sensori del movimento terrestre, da cui è scomparso il “tremore” di fondo che l’attività umana genera sul pianeta. Gli animali selvatici sono usciti dal fitto dei boschi e si sono avventurati nei paesi, curiosi e sospetti, come a chiedersi dove fossimo finiti tutti.
Sperimentare questo silenzio è stata una esperienza che lascerà tracce indelebili nell’ io di ciascuno.
Ripenso ad un altro giugno, quello del 2012, quando una vasta parte dell’ Emilia, da Modena a Ferrara, fu squassata dal terremoto, il 20 e il 29 maggio. Case, scuole, chiese e industrie furono devastate. Le vittime non furono tante quante la devastazione poteva portare, ma per coloro che persero i propri cari significò essere privati di ciò che conta. Anche in quell’anno ci trovammo a dovere “inventare” come concludere l’anno scolastico e svolgere gli Esami di Stato . Anche allora gli studenti “maturandi” delle zone terremotate non svolsero le prove scritte e si limitarono “agli orali”, quasi tutti all'aperto. Non fu facile, anche perché molti degli studenti, dei loro docenti e famigliari, erano psicologicamente e materialmente “provati” dal terremoto, che quotidianamente si ripresentava con il suo sciame sismico. Credo che per i “maturandi” di allora quell’Esame di Stato rappresenti un ricordo indelebile, un “segno” generazionale: “noi” che facemmo l’esame sotto i tendoni, mentre la terra tremava …
Ora che vi accingete a chiudere il vostro percorso scolastico e ad avventurarvi nel mondo - intraprendendo l’ istruzione universitaria o il lavoro -, sapete che niente più sarà come è stato finora. So bene che siete agitati da un’ansia di fondo. Certo, c'è la paura dell'Esame. C'è pure la tristezza di quello che avete vissuto in questi mesi e c’è il timore per il futuro verso cui vi volgete, coperto dalle nuvole minacciose della recessione economica.
Queste difficoltà saranno il “segno” della vostra generazione: quando direte ai vostri figli “noi che abbiamo vissuto la
pandemia del 2020 ...” dovrete potere aggiungere quello che ne avrete fatto, di questa esperienza. Cosa, camminando con le vostre gambe e “sporcandovi le mani”, avrete portato di buono nel mondo. Perché a tutte le generazioni, con prove più o meno gravose, tocca volgere il male in bene.
Durante il lockdown avete usato i social per restare in contatto con i vostri amici e avete trascorso tempo al computer per le lezioni a distanza. Spero abbiate anche prestato attenzione a come il mondo (lontano e vicino a voi) stava reagendo. Avrete visto il buono e il meno buono. Le crisi portano sempre a galla e rendono visibili il meglio e il peggio. Avrete visto medici, infermieri, operatori socio-sanitari, conduttori di ambulanze, volontari, lavorare notte e giorno, con il volto solcato dai segni delle mascherine. Li avrete visti rischiare la vita e in diversi casi perderla. Riascoltate on- line le loro testimonianze. Riflettete su come narrano la loro esperienza. Fra i tanti possibili, un insegnamento che potrete trarne è che nella vita è importante “sapere” (conoscenza), “sapere fare” (abilità) e “sapere essere” (entrare in relazione con l'altro). Non è teoria. Senza queste competenze, sarebbero state salvate molte meno persone. Per questo il mondo ha bisogno di sapienza, di cultura, di studio e di dedizione, di umiltà, di relazioni umane positive. Riflettendo sull'accaduto potrete trarne un ulteriore insegnamento: coloro che fanno migliore il mondo non sono quelli che appaiono, che hanno tanti “like”, i “fighi” che sono spigliati, sono “importanti”. Quelli “che contano”, anche se non lo danno a vedere, sono altri. Sono quelli che nel buio portano la luce del loro esserci, quelli che “sono” e che “ci sono”, quelli che “si sporcano le mani”. Sono pure quegli insegnanti che in questi mesi sono riusciti ad essere vicini a voi, proprio a voi, con i vostri nomi, così come siete. Anche se fisicamente lontani.
In fin dei conti, anche da questa esperienza si comprende perché descriviamo spesso la vita come un fiume che scorre verso il mare aperto. A volte ci sono gorghi e rapide, come in questo nostro tempo. Sono passaggi difficili, ma insegnano a svolgere il percorso nel tempo dato. La questione è quando si finisce nelle secche, nelle acque stagnanti. È qui che nascono i veri problemi. Perché l'essere umano, nello stagno, si ferma e si perde, l’io si smarrisce nell’inedia. La vita smette di scorrere, cioè di compiere il suo percorso di senso. Perciò ha grande significato anche il vostro studiare di questi giorni. Perché vi consente di affrontare un piccolo gorgo del fiume della vostra vita. Per crescere in maturità umana, le difficoltà non vanno evitate, anche se un poco generano ansia, ma vanno affrontate. Con personale responsabilità, ma non da soli. Anche per questo mi dispiace sinceramente che abbiate dovuto concludere la vostra esperienza scolastica reciprocamente lontani, senza potervi “ritrovare”. Mi dispiace, ma spero abbiate compreso che è stata una scelta dolorosa, presa per salvaguardare la salute di tanti.
Ora vi lascio allo studio e vi saluto, tutti, personalmente, ciascuno di voi. Spero che la scuola sia riuscita almeno in parte ad aiutarvi a crescere in conoscenza e sapienza umana. Faccio mio l'augurio di Elli Michler1:
Non ti auguro un dono qualsiasi, ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere; se lo impiegherai bene potrai ricavarne qualcosa.
Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare, non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri. Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre, ma tempo per essere contento.
Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo, ti auguro tempo perché te ne resti: tempo per stupirti e tempo per fidarti e non soltanto per guardarlo sull’orologio.
Ti auguro tempo per toccare le stelle e tempo per crescere, per maturare.
Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare. Non ha senso rimandare.
Ti auguro tempo per trovare te stesso, per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono. Ti auguro tempo anche per perdonare.
Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita.
Bologna, 5 giugno 2020 Stefano Versari
Direttore Generale
Permalink: Saluto ai maturandi del Direttore Generale dell'USR | Data di pubblicazione: 10/06/2020 |
Tag: Saluto ai maturandi del Direttore Generale dell'USR | Data ultima modifica: 20/06/2020 15:56:11 |
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